Mondi dal Sud - Andrea Mosso
23-30 luglio 2006 - Chiostro della Chiesa di S. Giovanni - S.Vito dei Normanni (BR)

portfolio

Bagdad 2000
di Andrea Mosso

Partire alla volta di Bagdad è ogni volta come ripercorrere con la mente itinerari avvolti da misteriose cortine fumogene fatte di vaghi e affastellati ricordi scolastici e da frammenti di film hollywoodiani; un impasto confuso di civiltà mesopotamiche e Douglas Fairbanks in un polpettone esotico / storico che inevitabilmente crolla appena arrivati a destinazione. Allora subentra un'altra inquieta sensazione: quella di non riuscire ad afferrare il senso più completo della realtà che ci circonda per via della lingua, del differente tempo di vita, del diverso modo di affrontare i rapporti. Se a ciò aggiungiamo l'ambizione di raccontare per immagini fotografiche una tale cultura in cui tradizione e modernità convivono in una sorta di apparente stratificazione disordinata si può ben comprendere lo sgomento, ma anche lo stimolo, nell'affrontare l'impresa ed accettare la sfida. Da questo impegno è nato un lavoro fatto da un cospicuo numero di fotografie tra le quali il fotografo stesso ha selezionato in base ad una scelta, critica al limite del sacrificio, un ristretto ma significativo gruppo di immagini, che non vogliono avere l'ambizione di sciorinare davanti agli occhi dell'osservatore la totalità della vita a Bagdad, ma piuttosto tendono a restituire le emozioni, quasi gli odori, provati dal fotografo.
L'insieme delle fotografie, in un rigoroso e drammatizzante bianco/nero, riporta alla mente tutta una tradizione di reportage "concerned" che ha come caposcuola certamente la figura di Eugene Smith, che diceva, cito a memoria, ...la mia posizione consiste nel catturare l'azione della vita, la vita del mondo, il suo lato comico, le sue tragedie, in altre parole la vita così com'è..... Dello stesso spirito è informato il lavoro di Andrea Mosso, che girovagando per le strade, i suk, gli ospedali di Bagdad, senza alcun preconcetto o volontà critica, ha colto il pulsare, i tempi, le abitudini degli abitanti, entrando spesso in contatto quasi fisico con le persone e gli eventi. A testimonianza di questa sua necessità di stabilire un rapporto umano sta l'uso ricorrente del grandangolo ( soprattutto il 24 mm.) che lo costringe ad avvicinarsi molto al soggetto che così viene enfatizzato in pose dalla plastica monumentalità, sottolineata dall'effetto di ampliamento e di dilatazione dello sfondo. La composizione più ricorrente, quasi una cifra stilistica, mette il soggetto al centro della scena, che risulta tagliata simmetricamente in due parti di uguale peso compositivo e che spinge ancora di più verso l'osservatore il soggetto stesso, in un primo piano di grande impatto emotivo. La composizione geometricamente costruita su un asse centrale con matematica precisione rende l'immagine una sorta di affermazione apodittica e nello stesso tempo icastica, senza possibilità di incertezze o contraddizioni. E' il risultato di una visione quasi dionisiaca della realtà che il fotografo coglie nella sua poetica crudezza, che è al contempo epica sociale e personale lamento, progressiva presa di coscienza e professionale distacco. Le fotografie passano con uno slittamento insensibile ma continuo da testimonianza a documento, tanto che alla fine non solo rendono partecipe l'osservatore della realtà, ma lo spingono a prendere una posizione morale se non politica. Altre volte l'immagine fonda la sua efficacia espressiva su una eccentricità compositiva che rimanda al lavoro di Robert Frank "Les Americans", laddove i protagonisti della scena si collocano, sempre per l'effetto del grandangolo, così divaricati tra loro che lo sguardo è costretto ad inseguirli nell'immagine, da un lato all'altro del campo visivo, in un dialogo che si intreccia tra espressioni e forme, chiari e scuri alla ricerca di una unità volutamente stravolta. Il disorientamento che ne consegue è la vera chiave di lettura dell'immagine, non più data come una certezza, ma proposta come una dialettica tra fotografo e osservatore, in un tentativo di coinvolgimento nella ricerca di un significato univoco e convincente. In questo caso il fotografo si pone non come uno spettatore della realtà, ma come un ricercatore dei significati; non compie cioè una verifica di un proprio pensiero aprioristico, ma piuttosto si pone domande e suscita in sé stesso dubbi che lo affrancano dal sempre incombente pericolo della retorica, uno studioso che usa la fotografia come medium.
Per concludere vale la pena ricordare quanto scriveva Dwight MacDonald in Against the american grain: ....dalle foto emerge una verità che comprende e va oltre la verità sulla miseria e l'ignoranza degli studi di sociologia, la verità che esistenze così dure, osservate con immaginazione, sono anche toccate dalla poesia, dalla commedia e dal dramma dell'inatteso e dell'imprevedibile, come succede nella vita...

Sebastiano Porretta


Adesso però fa impressione. Rivedere le fotografie del mondo. E fa impressione perché in vent'anni, abbastanza inconsapevolmente, si è generata una rivoluzione della percezione, oltre che un capovolgimento dell'idea di realtà.
Perché la domanda vera è probabilmente una: cosa significa oggi guardare una fotografia? Cosa significa dopo che le immagini in movimento hanno sostituito il realismo della fotografia. Anche se in modo diverso. E cosa significa dopo che la fotografia si è imposta sempre di più come elemento di falsificazione del reale?
Roland Barthes, quasi trent'anni fa, scrivendo di Richard Avedon su "Photo" diceva: «di quante foto si dice abbastanza stupidamente che sono "vive", "animate" ecc: tutta una serie di valori mitici utilizzati dalla pubblicità dei materiali fotografici!». Era il 1977, Barthes non avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto della fotografia da lì a poco. Come il reportage, eccetto poche eccezioni, avrebbe lasciato il passo a una realtà filmata, a documenti apparentemente più realistici, più vicini al mondo in cui stiamo e che guardiamo.
I giornali, o meglio i magazine, hanno messo da parte la fotografia. come se non ci fosse più spazio per immagini fisse, che non restituiscono abbastanza quello che avviene. Ma in realtà si è trattato di una sorta di sconfinamento della moda, che si è impossessata del tutto del linguaggio fotografico, utilizzandolo per scopi mistificatori. La più assoluta irrealtà, la più forte irrealtà, che è quella delle modelle, che è quella del glamour, che è quella del sogno, che è quella del falso (ma le due cose coincidono, falsificazione e sogno, sono due aspetti del rifiuto del reale, e spesso il falso è contenuto nel sogno) ha utilizzato come veicolo quasi esclusivo la fotografia. Perché la fotografia è sempre stata idea di verità e non sempre di realtà.
Solo che la fotografia è verità attraverso un processo complesso, che non sta soltanto nel vedere la foto, ma sta nell'elaborare ciò che si vede. Tutti i fotografi di guerra lo sanno bene. La foto che documenta, e basta, non riesce a spiegare abbastanza. Non lo sapevano gli anonimi fotografi che mettevano in fila i briganti italiani, dopo che erano stati uccisi. Ma lo sapeva Robert Capa: quando fotografa il suo miliziano nell'atto in cui veniva colpito, e non dopo che era caduto a terra. Sarà poi morto quel miliziano, oppure solo leggermente ferito? Certo che è morto, ma non perché lo dice la fotografia, ma perché attraverso una serie di considerazioni culturali, estetiche, e di esperienza, stabilisci questa cosa. E adesso?
Ho visto le foto di Andrea Mosso, scattate a Bagdad. Non è ancora una Bagdad di guerra la sua. Lo diventerà in seguito. Ma la guerra la senti come concetto possibile. Come idea di base. Questo ha la fotografia: non documenta soltanto. O meglio: non è soltanto fotografia del reale ma è spiegazione del reale. La chiamerei realtà del dopo. Guardi le facce, gli ambienti e filtri tutto attraverso una bianco e nero che è già una dichiarazione di intenti e una scelta estetica. Sembrano un preludio in forma di immagini, immagini di idee e di forme che rimangono sospese, nell'attesa di quello che un giorno verrà davvero.
La fotografia è questo. Sembra terribilmente legata al mondo, ma del mondo può fare assolutamente a meno. Come se la luce che attraversa l'obbiettivo prendesse ordini da altro: da una tradizione, da un linguaggio che negli anni è diventato più elitario, e sempre più sofisticato.
Oggi quella Bagdad è attraversata da guerra, macerie e miserie. Ma è attraversata anche da inviati, immagini e parole. La fotografia ha un suo posto altro in tutto questo. La fotografia sta alle immagini dei documentaristi e inviati come la filosofia sta alla narrativa. Come il saggio breve sta al romanzo lungo. In questi saggi brevi Andrea Mosso ha raccontato un mondo ma forse, ancora di più, ha raccontato se stesso. Perché non è vero che i fotografi stanno dietro l'obbiettivo: stanno davanti, e si lasciano cercare tra le immagini.

Roberto Cotroneo


Che cosa sarà rimasto di quell'aula a Baghdad. Che cosa scriverà quella bambina sui grandi fogli bianchi.
Forse quella scrittura avrà lo stesso senso che avevano i racconti per Sheherazade.
Che cosa sarà rimasto di quella scrittura, a Baghdad... Del respiro consegnato ai segni tracciati con l'inchiostro.
E' un luogo senza confini la Baghdad di Andrea Mosso.
A Baghdad non si entra, da Baghdad non si esce in queste foto.
E' la vita che passa di voce in voce, di sguardo in sguardo, dal bianco al nero.

Antonio Errico


Andrea Mosso - Curriculum artistico

Recapiti
- Roma - Via Gerace 1/b - 00197
Tel-fax 067017358
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Tel. 0832200510,
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Cell. 3392996390
E-Mail cameraoscura@hotmail.com

Nato a Roma il 03/12/1970

Studi:
- 1988 Diploma Artistico
- 1992 Diploma presso Istituto Superiore di Fotografia di Roma

Progetti:
- 1994 presidente e fondatore CAMERAOSCURA - Associazione di Fotografi Nazionali ed Internazionali
- 1999 Partecipa all'ideazione e ne fa parte dell'agenzia di fotogiornalismo on line isophotobase.it
- 1997/2004 Idea e coordina il "Progettooglinda", corso di formazione e agenzia per bambini di strada - Bucarest, Romania

Docenze:
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1992/93 Docente a detenuti ed ex detenuti Presso Carcere e Comunità Roma
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1999/2001 Docente presso la comunità Capodarco Roma
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1995/2004 Docente di antiche tecniche di stampa presso l'Istituto superiore di fotografia Roma
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2000/2001 Docente Corso di formazione Progetto Poate ca - Bucarest, Romania

Premi:
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1993/Sebastiano Hoschman
- 2000/MilleniumPhotoprogect

Mostre:

Italia:
- 1990 rassegna Fotogrammatica giovani autori - Calcata Prov.Viterbo
- 1991 Rassegna Fotogrammatica - Acquario Romano Roma
- 1993 Gesti - Villaggio Globale Roma
- 1996 Cento ritratti di Orlando - Ferro di cavallo Roma
- 1997 Istruzioni per l'uso - vicolo del Bologna Roma
- 2000 12 Fotografi per sdebitarsi Galleria Andrè - Patrocinio comune di Roma
- 2001 Crescendo - Palazzo Massimo Roma, Patrocinio del Comune di Roma
- 2002 I Poeti si Raccontano - Rieti Patrocinio provincia di Rieti
- 2003 Voci di Guerra e di Mestieri - Bellegra, patrocinio Presidenza Provincia di Roma
- 2003 ciclo di mostre Crescendo - Lecce, Tricase, S.Cesario Patrocinio Provincia Di Lecce

Estero:
- 2001/10th Baghdad international Festival for Photografic Pictures - (IRAQI SOCIETY FOR PHOTOGRAPHY)
- 2002 "PoateCa" Cianography Bucarest Romania

Pubblicazioni:
- Mensile Terre des Hommes Italia - Street Children in Bucarest
- Trantition Harward University - Street Children in Bucarest
- Collana o.n.g C.I.S.P. - Saharwi
- Crescendo Catalogo
- Voci di guerra e di Mestieri - Ed. AdM Pat. Presidenza Provincia di Roma
- I poeti si Raccontano - Ed. AdM Pat. Presidenza Provincia di Roma
- Collabora stabilmente con la rivista ZU Romacitymagazine
- Apulia, Figli dell'aurolack Mensile della B.P.P
- Espresso, reportage tropico del Danubio


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